giovedì 31 gennaio 2008

Pochi spiccioli


Bankitalia
44 miliardi di euro sottratti al lavoro
Roberto Romano

La Banca d'Italia ha appena pubblicato l'indagine sui bilanci delle famiglie e tutti i commentatori hanno evidenziato la distribuzione della ricchezza che è concentrata nel decile più alto: il 45% della ricchezza è posseduta dal dieci per cento delle famiglie più ricche. Se la ricchezza è un indicatore importante, il reddito è un indicatore che più di altri interessa la capacità contrattuale del sindacato. Infatti, la ricchezza interessa di più l'attività fiscale dello stato che l'attività contrattuale. In questo senso l'idea di una patrimoniale - riproposta ieri da Galapagos - non è così fuori posto, in particolare se consideriamo che il reddito da capitale ha manifestato dei forti tassi di crescita in termini di flusso e di stock.
Ma l'indagine della Banca d'Italia permette una valutazione del reddito da lavoro dipendente, indipendente, da trasferimenti e da capitale. Attraverso la raccolta delle indagini della Banca d'Italia dal 1993 al 2006 è stato possibile «quantificare» la minore-maggiore disponibilità delle diverse tipologie di reddito e capire, così, meglio come si è modificato la distribuzione del reddito tra le varie classi sociali.
Proviamo a considerare i due estremi dell'indagine della Banca d'Italia, cioè 1993 e 2006. Il reddito da lavoro dipendente nel 1993 era pari al 43,7% del Pil, mentre nel 2006 era pari al 40,7%. Sostanzialmente il reddito da lavoro dipendente ha perso peso «economico» all'interno del flusso di reddito realizzato dal paese nel corso di questi ultimi 13 anni. Il reddito da libera professione aumenta, invece, dal 12,9% del pil al 15,1%, cioè cresce in misura maggiore della crescita del pil. Il reddito da trasferimenti (previdenza ed altro) passa dal 22,1% al 23,5% del pil. L'incremento, seppur contenuto, è legato agli interventi dello stato per far fronte alla crisi del sistema economico. I redditi da capitali diminuisco leggermente, scendendo dal 21,3 al 20,7% del Pil.
Utilizzando la destinazione percentuale del reddito del 1993 per il 2006 è possibile calcolare quanto reddito è stato perso e/o guadagnato dalle diverse tipologie di reddito. I risultati sono importanti, ancorché non sorprendenti. Rimane comunque alta la «cifra» di reddito potenziale perso dal reddito da lavoro dipendente che non può essere in nessun modo soddisfatto da una diversa redistribuzione del carico fiscale. Infatti, teoricamente il reddito da lavoro dipendente tra il 1993 e il 2006 avrebbe perso qualcosa come 44 miliardi di euro; il reddito da libera professione avrebbe guadagnato 32,5 miliardi e il reddito da capitale perso poco più di 3 miliardi.
Occorre sottolineare che la quota di reddito da lavoro dipendente è diminuito in presenza di una forte crescita del numero dei lavoratori dipendenti. Evidentemente chi entra nel mercato del lavoro ha reddito di ingresso non solo saltuari, ma anche troppo più bassi rispetto a chi è integrato nel mondo del lavoro. Sostanzialmente la creazione di nuove figure contrattuali (44) ha eroso alla fonte la possibilità di intercettare quote crescenti di reddito.
Se la contrattazione negli ultimi due anni ha permesso il mantenimento della quota di reddito da lavoro dipendente sul Pil rispetto al 2002, in realtà c'è stata una lieve crescita, salari di ingresso troppo bassi non potevano spostare quote di reddito. L'indagine della Banca d'Italia sottolinea come l'intervento fiscale sui redditi da lavoro dipendente sia insufficiente, non tanto nelle intenzioni, quanto nella efficacia. Spostare un punto di Pil verso il reddito da lavoro dipendente è una frazione dei 3 punti di pil persi dal lavoro dipendente. La contrattazione e il suo modello diventano in questo modo strategici.



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