


DAL IL MANIFESTO
Il lavoro in diretta materializza gli invisibili
Fiat e ThyssenKrupp raccontate dagli operai. L'inchiesta di Primo Piano che guarisce la «smemoratezza»
Loris Campetti
Contadini, operai, impiegati. Vale a dire lavoro. Quel lavoro di cui si è timidamente tornati a parlare scoprendo che esiste ancora, ma non garantisce più il riscatto sociale per sé e per i figli, in conseguenza delle accresciute ingiustizie che impoveriscono chi vive del suo salario. Un lavoro che colloca l'operaio sotto la soglia di povertà e colpisce una fascia importante di borghesia, quel ceto medio che una volta si sarebbe detto proletarizzato. Per non parlare del lavoro nei campi, dove più che quarant'anni fa vige il caporalato, regnano nero e sommerso e il bracciante è spremuto più delle olive nel frantoio o è comandato, come le olive abbandonate in terra non raccolte, a marcire. Il lavoro dipendente che non muore, mentre muoiono i lavoratori, ogni giorno, tre o quattro al giorno. Se ne muoino tanti tutti insieme come alla ThyssenKruppm, tornano a fare notizia, escono dal dimenticatoio in cui in cui l'ideologia del mercato e le baggianate del postindustrialismo li avevano incatenati.
I media, troppo a lungo e colpevolmente silenti, riaprono gli occhi. Per quanto chissà. Ma l'unico modo per non parlare più degli operai morti è quello di raccontarli da vivi, guardarli e mostrarli nella loro quotidianità fatta di sfruttamento e alienazione che garantiscono la ricchezza di pochi e il Pil di tutti. Se oggi è possibile una diretta come quella che sabato pomeriggio ci ha regalato Rainews24 da Torino, in cui si è connessa la sconfitta dell'80 alla Fiat alla strage di oggi alla ThyssenKrupp, è perché il sottile filo rosso del racconto sociale non si è mai del tutto spezzato. Grazie a piccoli giornali che non si sono imbarcati nel bastimento della presunta modernità liberista. Grazie a giornalisti curiosi e coraggiosi che hanno preferito l'inchiesta alla carriera. Grazie a testate come Rainews24 o come alcune enclave del Tg3 che hanno continuato a cercare nel corpo vivo della società. Esemplare da questo punto di vista è il lavoro di Santo Della Volpe dentro il mondo del lavoro per raccontare cosa è diventato. Tre reportage, una giornata passata insieme a un operaio di Mirafiori («Vita da operaio»), una con un bancario («Vita da impiegato») e un'altra con due lavoratori della terra, un contadino-imprenditore emiliano e una bracciante pulgliese («La terra è bassa»). Tre storie di lavoro e di vita che narrano la difficoltà di arrivare a fine mese, raffrontando le condizioni materiali di ieri e di oggi per verificarne l'impoverimento. Oggi un operaio Fiat deve lavorare il doppio degli anni per comprare l'utilitaria che lui stesso costruisce, non può mandare la figlia in gita scolastica. E il bancario che ha perso status e stipendio deve stringere la cinghia, mentre la bracciante - come l'operaio - ha un solo sogno che si allontana nel tempo, riforma dopo riforma: il giorno della pensione. Mentre ieri una famiglia operaia poteva offrire ai figli un futuro migliore, oggi vive con l'aiuto dei genitori e i figli sanno che vivranno peggio, più poveri e precari, di chi li ha messi al mondo.
Uomini e donne in carne e ossa che ci raccontano cosa è diventato il lavoro. Sono gli invisibili a parlare, che soffrono di questa invisibilità più ancora del loro salario che perde potere d'acquisto, mentre loro perdono potere, il potere di cambiare la loro condizione e, anche un po', la società. Queste storie le abbiamo viste e ascoltate a Primo Piano, Tg3. Ne aspettiamo altre, possibilmente in prima serata. E speriamo che si apra una sana competizione tra giornalisti e tra testate giornalistiche, radiofoniche, televisive, che riporti in diretta la materialità della vita. Una diretta che potrebbe insegnare molto anche alla politica che tanto ha contribuito a chiudere il lavoro nella prigione dell'oblio.
I media, troppo a lungo e colpevolmente silenti, riaprono gli occhi. Per quanto chissà. Ma l'unico modo per non parlare più degli operai morti è quello di raccontarli da vivi, guardarli e mostrarli nella loro quotidianità fatta di sfruttamento e alienazione che garantiscono la ricchezza di pochi e il Pil di tutti. Se oggi è possibile una diretta come quella che sabato pomeriggio ci ha regalato Rainews24 da Torino, in cui si è connessa la sconfitta dell'80 alla Fiat alla strage di oggi alla ThyssenKrupp, è perché il sottile filo rosso del racconto sociale non si è mai del tutto spezzato. Grazie a piccoli giornali che non si sono imbarcati nel bastimento della presunta modernità liberista. Grazie a giornalisti curiosi e coraggiosi che hanno preferito l'inchiesta alla carriera. Grazie a testate come Rainews24 o come alcune enclave del Tg3 che hanno continuato a cercare nel corpo vivo della società. Esemplare da questo punto di vista è il lavoro di Santo Della Volpe dentro il mondo del lavoro per raccontare cosa è diventato. Tre reportage, una giornata passata insieme a un operaio di Mirafiori («Vita da operaio»), una con un bancario («Vita da impiegato») e un'altra con due lavoratori della terra, un contadino-imprenditore emiliano e una bracciante pulgliese («La terra è bassa»). Tre storie di lavoro e di vita che narrano la difficoltà di arrivare a fine mese, raffrontando le condizioni materiali di ieri e di oggi per verificarne l'impoverimento. Oggi un operaio Fiat deve lavorare il doppio degli anni per comprare l'utilitaria che lui stesso costruisce, non può mandare la figlia in gita scolastica. E il bancario che ha perso status e stipendio deve stringere la cinghia, mentre la bracciante - come l'operaio - ha un solo sogno che si allontana nel tempo, riforma dopo riforma: il giorno della pensione. Mentre ieri una famiglia operaia poteva offrire ai figli un futuro migliore, oggi vive con l'aiuto dei genitori e i figli sanno che vivranno peggio, più poveri e precari, di chi li ha messi al mondo.
Uomini e donne in carne e ossa che ci raccontano cosa è diventato il lavoro. Sono gli invisibili a parlare, che soffrono di questa invisibilità più ancora del loro salario che perde potere d'acquisto, mentre loro perdono potere, il potere di cambiare la loro condizione e, anche un po', la società. Queste storie le abbiamo viste e ascoltate a Primo Piano, Tg3. Ne aspettiamo altre, possibilmente in prima serata. E speriamo che si apra una sana competizione tra giornalisti e tra testate giornalistiche, radiofoniche, televisive, che riporti in diretta la materialità della vita. Una diretta che potrebbe insegnare molto anche alla politica che tanto ha contribuito a chiudere il lavoro nella prigione dell'oblio.
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