DAL IL MANIFESTO
San Giuliano di Puglia non trova pace
La gestione del post-terremoto in Molise. Tra soldi distribuiti per alimentare clientele e una giustizia che ha tradito ogni aspettativa
Cinque anni dopo il sisma che ha distrutto la scuola «Francesco Jovine» e ucciso ventisette bambini, il paese attende ancora di essere ricostruito. Nel frattempo il governatore Iorio (FI) ha distribuito a pioggia i fondi destinati ai comuni terremotati
Serena Giannico
San Giuliano di Puglia (Cb)
Le casupole basse bucano il paesaggio grigioverde. Appaiono all'improvviso, affastellate, livide, degradanti sulla falda della collina, con gli usci uguali, i tetti uguali, le viuzze senza nomi tutte uguali. San Giuliano di Puglia, adesso, sta qui. «Villaggio temporaneo», indica un cartello sulla strada bianca di curve e avvallamenti. Il paese, quello originario, è stato devastato dal sisma del 2002. Poco più di cinque anni dopo i giorni della tragedia la maggior parte dei cittadini è parcheggiata dentro minuscole costruzioni di legno accozzate sulla brulla appendice di una realtà straziata, salutata dagli ulivi e che sa di dover necessariamente credere nella ripresa. «Non sono le baracche di Colfiorito, neppure le stamberghe dell'Irpinia o quelle, che ancora segnano la Sicilia, del terremoto di inizio '900 - dicono alcuni anziani appoggiati ad una staccionata -, ma significano insicurezza e precarietà. Siamo accompagnati da sconforto, ogni giorno, perché questo tempo passato non ha offerto i frutti migliori. E c'è da attendere, parecchio. Chissà quando le riavremo, quattro pareti vere». «I tempi sono lunghi - afferma Vincenzo Francario, del Comitato vittime - nonostante i proclami dell'ex premier Silvio Berlusconi che, al momento del disastro, pareva volesse portare miracoli. Ma oltre ai suoi messaggi mediatici c'è stato poco. I fondi della ricostruzione sono stati dirottati in posti dove non è stato percepito il tremore della terra. E neppure il rumore della tragedia, con le sue trenta vittime. Tiriamo avanti scandendo alla bell'e meglio le scomodità, l'instabilità, le piaghe...».
Più in là, dove lo sguardo arriva bene, le impalcature e le gru cingono la San Giuliano della catastrofe. Quell'autunno ha lasciato in pace solo il ventre del borgo, col campanile giallo scampato alla disfatta e rimasto a vegliare le disgrazie della sua gente. Ora c'è un paesaggio fantasma, di tubi metallici, travi, ruspe e scavi. I ponteggi si inseguono, a frotte, uno dietro l'altro, a non finire, sulle strade cianotiche, svuotate, irrazionali. «Tra armature e intelaiature - evidenzia un uomo che s'allontana con un fastello d'erbe sotto il braccio - ognuno cerca di intravedere il proprio futuro. Purtroppo resteranno i lutti». Che qualcuno sente già lontani, ma che assediano, prepotenti, le macerie della scuola elementare «Francesco Jovine», sventrata, sbarrata e sferzata dal vento. Tra i detriti dei muri squassati, che cadendo hanno ammazzato, svettano sprazzi di arbusti gialli. Sul cemento fanno capolino un banco e una sedia. E sulla rete che delimita l'istituto della morte, si aprono fasci di rose: per gli alunni e la maestra, Carmela Ciniglio, schiacciati dall'edificio che, all'improvviso, quel 31 ottobre, al primo violento sussulto si ripiegò e si accasciò orrendamente al suolo. Un massacro. La prima classe, quella dei bambini del '96, debellata. Ventisette creature rimaste uccise: tra esse due coppie di fratellini.
Dentro le rovine
Tra le macerie s'aggira un cane dalle orecchie lunghe, che sembra scavare rabbia. La collera s'annida tra i massi. Spunta da ogni pietra, da ogni nostalgia che si fa pietra. I ragazzini scampati al dramma, fuggiti da quelle aule che si sono trasformate in trappole letali, di tanto in tanto si lasciano andare ai ricordi, appena accennati. I compagni seppelliti «... non ce l'hanno fatta - rammentano - perché non c'è stato proprio il tempo. Noi siamo stati fortunati...». Trentasei udienze ci sono state per il processo della scuola collassata. Venuta giù d'un botto. Sei imputati tra tecnici e amministratori che, dai primi anni Cinquanta in poi, si sono occupati della realizzazione del complesso e della sua sopraelevazione. Il pubblico ministero, Nicola Magrone ha sostenuto la loro colpevolezza. Perché - ha affermato ripetutamente - a far sbriciolare l'istituto «non è stato il terremoto, ma la violazione delle norme del buon costruire». Irregolarità e furberie che appartengono «all'Italia peggiore». Ma il giudice, Laura D'Arcangelo, ha assolto, addossando l'accaduto all'Italia dei cataclismi. Nessuna responsabilità. Cancellate le accuse di omicidio e di disastro colposo e lesioni. Ma alimentati, di più, se possibile, il rancore e l'astio. «Una sentenza che è una vergogna - inizia Adriana Ferrucci, che sotto i macigni ha perso Lorenzo - ma questo lo abbiamo ripetutamente sottolineato. Aspettiamo, adesso, la Corte d'appello». E riflette: «La palestra era inagibile da anni eppure è rimasta in piedi, così come molte catapecchie... Perché, invece, la scuola ha immediatamente ceduto?». «S'è fatta a pezzi come una pignatta - aggiunge Maria Di Stefano, madre dei gemellini Luca e Gianmaria, altri bimbi vittime - non è colpa del destino, come tentano di inculcarci, ma di quanti hanno eluso le leggi pensando agli introiti. I nostri figli trucidati dalla superficialità. Finiti come topi. E' inaudito ciò. E' dannata e impotente questa nostra storia». «L'unica consolazione che ci rimane - continua Ferrucci - è andare da loro quotidianamente, magari con i fiori più belli, perché solo questo gli puoi ancora dare. Quelle bare bianche, in fila, le hai sempre davanti. Loro, però, non li puoi più toccare». Tra l'altro, rincara Antonio Morelli, presidente del Comitato vittime «in molti hanno strumentalizzato e continuano a strumentalizzare i nostri figli per ottenere fondi ed è inaccettabile».
«Non fate fotografie, rubano l'anima»: così è inciso sul marmo all'ingresso del cimitero. Poco più avanti le tombe degli «angeli», come li chiamano... Stanno insieme, i visi piccoli piccoli senza più giorni, i sorrisi fermati. Persi in una marea di corolle slargate, imbronciate, appassite, di peluche, di carillon ormai stonati, pupazzetti, girandole colorate e biglie e nel tintinnio degli scacciapensieri che muovono la quiete, stordiscono, confondono, ghiacciano.
L'affaire sisma
«Da queste parti - riprende Francario - non stiamo nel fango, ma di sicuro nel disagio... Il Molise del dopo terremoto avrebbe dovuto essere d'esempio, avrebbe dovuto rappresentare un modello di efficienza e di vigore. Invece siamo ai primi passi: la ricostruzione è lentissima, in alcune zone allo stallo, a fronte di un grosso dispendio di denaro pubblico, sperperato nell'omertà. E poi improvvisazione, consulenti, periti e studi di progettazione che si moltiplicano e che talvolta non sanno neppure come operare, contributi elargiti in maniera insensata e dissennata. Avremmo dovuto stare subito meglio, ci siamo trovati peggio. E questo anche perché i fiumi di denaro arrivati sono stati amministrati solo dall'attuale governatore, Michele Iorio, che li ha assegnati a propria discrezione». «Facendoli ruotare - rilevano alcune donne - attorno alla sua politica, alla sua ricandidatura, alla sua campagna elettorale. Ingiustizie e sprechi non si contano. Era nelle aree disastrate che si sarebbe dovuto ricominciare. Avrebbero dovuto avere la priorità nell'impiego dei contributi: così non è stato, perché il clientelismo ha avuto il sopravvento, e l'emergenza si tocca ancora con mano...».
Millecinquecento famiglie costrette nei prefabbricati e in sistemazioni provvisorie per le quali lo Stato paga l'affitto. «A San Giuliano, pur se le case promesse non sono ancora state innalzate - osserva un capannello di uomini in attesa della partita di calcio dinanzi al campo sportivo - siamo sicuramente avanti rispetto agli altri centri e ciò perché i soldi sono stati gestiti direttamente dal Dipartimento della protezione civile. Altrove la situazione è agonizzante. Dei nuovi fabbricati, che avrebbero dovuto essere pronti entro due anni dalle scosse telluriche, non esiste traccia».
Colletorto, Casacalenda, Bonefro, Santa Croce di Magliano, Castellino del Biferno, Ururi, Rotello, Provvidenti, Ripabottoni, Morrone del Sannio, Larino, Montelongo e Montorio nei Frentani: questi i centri che dopo una prima ricognizione vengono classificati come terremotati con oltre il 40 per cento del territorio distrutto. Costituiscono il cosiddetto «cratere». Successivamente Iorio (Forza Italia) fa diventare «sismici» tutti gli 84 comuni della provincia di Campobasso. Nel gennaio del 2003, la costa viene annientata dal maltempo e dagli allagamenti: uno sfacelo. Il 12 marzo successivo Berlusconi conferisce pieni poteri a Iorio innalzato, con l'ordinanza 3268, a commissario delegato per i cataclismi che hanno di recente devastato il Molise. Il provvedimento del presidente del consiglio contiene anche il deleterio articolo 15, per il quale transita il «programma pluriennale di interventi diretti a favorire la ripresa produttiva della regione colpita dagli eventi sismici e da quelli meteorologici, da finanziare anche con il concorso delle risorse nazionali e comunitarie destinate allo sviluppo delle aree sottoutilizzate». Nel documento, quindi, si parla di rilancio del Molise, non solo dei luoghi falcidiati. E', per Iorio, l'escamotage per attingere e distribuire somme a propria discrezione. L'articolo 15 è il calderone nel quale far confluire tutti gli stanziamenti disponibili - Cipe, rimodulazione Por, solidarietà nazionale - scavalcando le competenze del consiglio. E' il passe-partout che gli permette di spendere come crede. E' il pozzo dal quale tirar su secchiate di quattrini. E' il balletto degli scialacquamenti. E' il conto - numero 3098 presso la Tesoreria provinciale di Campobasso della Banca d'Italia - da cui prelevare per fare «omaggi», soprattutto in provincia di Isernia, neppure scalfita dalle calamità, ma dove in passato è stato sindaco e dove, quindi, ha un consistente serbatoio di voti. E' il mezzo per captare e cooptare fedelissimi utili alla sua rielezione, che c'è, nel novembre 2006, ed è netta, alla faccia del centrosinistra: l'affaire sisma ha maturato i dovuti risultati. Quindi il dramma si è trasformato in... oro. Con 380 milioni - su 500 arrivati dal 2003, compresi gli 86 del 2007 - spalmati allegramente nei 136 comuni della regione, a enti, iniziative e aziende. Un flusso inarrestabile di euro, 170 milioni dei quali sono stati usati effettivamente per ristrutturare, riparare, demolire e riedificare. Il resto è stata una spartizione che non ha considerato le necessità. «Facendo un rapido calcolo - riporta un dossier del quotidiano on line Primonumero.it - salta fuori che ogni residente della provincia di Isernia, dove il sisma è stato visto solo in tivù, ha avuto a disposizione 563 euro a testa contro i 530 euro degli abitanti della provincia di Campobasso. Dunque, chi ha beneficiato della "ripresa produttiva"? Le zone terremotate? O gli amici degli amici?». E ancora: «Si chiama Sant'Angelo del Pesco, ci vivono 416 anime e si trova all'estremità occidentale della regione, in provincia di Isernia e a confine con quella di Chieti. E' una roccaforte del centrodestra e, anche se il terremoto è stato a 110 chilometri di distanza, ha goduto di tre finanziamenti: per l'irrinunciabile "realizzazione di un centro di equitazione di campagna"(425 mila euro), per il miglioramento "del verde attrezzato in località Canala" (200 mila euro) e per "la sistemazione dell'arredo urbano". Il totale fa 815 mila euro ai quali vanno sommati 626 mila euro per otto imprese artigiane e 274 mila euro per tre commerciali. Complessivamente ci sono stati regali per un milione 688 mila euro che vuol dire più di 4 mila per abitante. Mentre i 28 mila 561 residenti del "cratere" ne hanno avuti 1.276 ciascuno, meno di un terzo».